Cronaca e Storia del Judo Italiano 15

Cronaca e Storia del Judo Italiano 15

Con questo giovedi’ chiudiamo il successo della rubrica del M. Silvano Addamiani, VIII DAN, dal titolo “Cronaca, Commenti e Storia del Judo Italiano”. Il Maestro Addamiani, tuttavia, continuera’ a scrivere ogni giovedi’ sera su questo canale affrontando questa volta temi di attualita’.  Nell’attesa, vi auguriamo buona lettura.  Qualche tempo fa, un “amico”, mi raccontò di […]

Pubblicato da S. Addamiani il 22 Gen 2015 in Roma

Con questo giovedi’ chiudiamo il successo della rubrica del M. Silvano Addamiani, VIII DAN, dal titolo “Cronaca, Commenti e Storia del Judo Italiano”. Il Maestro Addamiani, tuttavia, continuera’ a scrivere ogni giovedi’ sera su questo canale affrontando questa volta temi di attualita’. 
Nell’attesa, vi auguriamo buona lettura. 

Qualche tempo fa, un “amico”, mi raccontò di avere incontrato, all’aeroporto di Fiumicino, una squadra italiana di judo. “Sembrava un’armata Brancaleone” mi disse; sorrisi con lui, alla sua battuta, ma dentro mi montò una rabbia indicibile.

Una squadra azzurra in missione per una gara internazionale, veniva definita un’armata Brancaleone, come era possibile? “Vociante, sguaiata, sparpagliata, variamente vestita, disordinata” aveva aggiunto il mio “amico”; tale quadro rappresentativo nulla aveva a che fare secondo me con le squadre di arti marziali che fino ad allora avevano girato il mondo.

Lui ci teneva a farmelo sapere perché conosceva la mia storia sportiva e mi voleva ferire.

Forse tale ruolo comportamentale si era perduto nei meandri dell’ignoranza di chi li guidava in quei periodo ( la forma e la dignità ce l’hai o non ce l’hai,, se non ce l’hai la devi studiare per poter guidare una nazionale in giro per il mondo).

Da questo siparietto , d’incontro verbale, ho preso lo spunto, se pur con rammarico, di riproporre la figura dell’azzurro di quando, ai miei tempi, guidavo le nazionali.

Incominciamo con il dire che l’azzurro non è solo un atleta campione, ma un fortunato, per aver creato l’attenzione dei tecnici sulla sua persona, quindi non solo un atleta bravo, ma anche un prescelto e quindi un campione da imitare per i colleghi che praticano la sua attività.

Lui diventa l’esempio, quando veste l’azzurro, tra i migliori, questo suo status lo pone all’attenzione di tutti: dai sui compagni di sport, ai suoi colleghi di vita, dalla sua famiglia, ai suoi amici e compagni di lavoro. L’azzurro è l’esempio che con la sua capacità agonistica genera la rappresentatività comportamentale del suo paese.

Questo sempre, sia quando parte con la squadra, sia in gara, sia al ritorno.

La maglia azzurra è il più alto onore sportivo che un atleta possa ricevere. La maglia azzurra non è una divisa o un abito di lavoro, ma un simbolo. I nominati che la indossano sono dei privilegiati per tutta la  loro vita. Con l’azzurro si rappresenta l’Italia in tutte le sue componenti: destrezza, abilità, sacrificio, lavoro, genialità agonistica e la capacità di destreggiarsi per la generosità nella lotta (agonistica). Solo donando tutto di noi stessi saremo soddisfatti, e avremo rappresentato onorevolmente la nostra terra.

Azzurri, avete mai pensato a questo aspetto? Non è retorica la mia, ma lo sport del judo ci permette di farci notare ed apprezzare in tutto il mondo nel bene e nel male. Non c’è solo la vittoria e la sconfitta, c’è l’onore di rappresentare  un popolo.

Noi vogliamo essere i migliori, sia sul tatami e sia quando cantiamo “O sole mio” dopo la vittoria, ma dobbiamo sempre pensare che in quei momenti, noi stiamo rappresentando l’Italia e non noi stessi.

Desidero ricordare un momento degli azzurri del tempo andato, per far capire quanto forte fosse questa iniziazione a così alto onore.

Nel giorno finale del raduno collegiale degli atleti, in preparazione per un evento sportivo, si dovevano scegliere i qualificati; ad ognuno dei presenti, lo staff tecnico spiegava le ragioni della scelta o meno dell’atleta.

Il giorno successivo la Federazione confermando ufficialmente i nominativi prescelti, procedeva alla cerimonia della nomina dei nuovi azzurri, componenti la squadra.

Nella sala di allenamento, allora era nel centro sportivo dell’Acqua Acetosa, a Roma, si radunavano tutti gli atleti convocati, tutti in judogi, gli atleti sul tatami, lo staff federale al completo, al bordo; si procedeva al giuramento. La sua formula era tratta da un libricino che il CONI aveva dato a tutte le Federazioni.

Il capitano della squadra aveva tra le sue mani la bandiera italiana, il convocato si portava accanto al capitano e afferrando un lembo del tricolore, ad alta voce, pronunciava il giuramento dell’atleta azzurro.

Una cerimonia breve ma intensa, che ricorderò sempre, per tutta la vita, insieme a tutti coloro che l’avevano ugualmente vissuta, credo.

Con queste note azzurre pongo la parola pausa, a questa collana, durata quindici puntate di cronaca, commenti e storia del Judo italiano.

A voi ora la partecipazione al seguito, spero di avere suscitato un qualche interesse nella conoscenza del Judo italiano se pur superficiale.

                            Fine

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